Non c'è modo migliore, per introdurre un animo poetico
così estremo, puro e contraddittorio come quello di Paul Verlaine, se non
quello di presentarlo con le parole con cui ha voluto dipingerlo il suo
compagno di maledizione, il suo «grande peccato radioso», come ebbe a dire lo
stesso Verlaine:
Ascoltiamo la confessione di un compagno d'inferno:
«O divino Sposo, mio Signore, non rifiutate la
confessione della più triste fra le vostre serve. Sono perduta. Sono ubriaca.
Sono impura. Che vita!
«Perdono, divino Signore, perdono! Ah! perdono! Quante
lacrime. E quante lacrime più tardi, spero!
«Più tardi conoscerò il divino Sposo! Sono nata
sottomessa a Lui. - L'altro può picchiarmi, adesso!
«Per ora, sto in fondo al mondo! O amiche mie!... no,
non amiche mie... Mai deliri né torture simili... Com'è stupido!
«Ah! soffro, grido. Soffro veramente. Eppure tutto mi
è permesso, carica del disprezzo dei più miserabili cuori.
«Insomma, facciamo dunque questa confidenza, a costo
di doverla ripetere altre venti volte, - non meno squallida, non meno
insignificante!
«Sono schiava dello Sposo infernale, quello che ha
dannato le vergini folli. Proprio lui, quel demonio. Non è uno spettro, non è
un fantasma. Ma io che ho perduto la saggezza, che sono dannata e morta per il
mondo - non mi uccideranno! - Come descriverlo! Non so più neppure parlare.
Sono in lutto, piango, ho paura. Un po' di refrigerio, Signore, se volete, se
appena volete!
«Io sono vedova... - Ero vedova... - ma sì, sono stata
molto seria, un tempo, e non sono nata per diventare scheletro!... - Lui era quasi
un bambino... Le sue delicatezze misteriose mi avevano sedotta. Ho dimenticato
tutti i miei doveri umani per seguirlo. Che vita! La vera vita è assente. Noi
non siamo al mondo. Io vado dove va lui, è necessario. E spesso va in collera
con me, me, la povera anima. Demonio! - È un demonio, sapete, non è
un uomo.
In questo capitolo di Una stagione all'inferno (l'unica opera la cui pubblicazione fu curata, almeno nella fase iniziale, dall'autore stesso, nel 1873), Arthur Rimbaud fa parlare appunto il suo mentore come un invasato mendicante di affetto - quello che poi egli è stato in realtà - che supplica, maledice e invoca audacemente il proprio ideale di amore e di distruzione con un tono che attraversa in modo esaltato più registri, dal febbrile all'estatico. Rimbaud si innamorò di Verlaine per la sua straordinaria leggerezza poetica (in una lettera del 25 agosto 1870 al suo professore Georges Izambard, egli racconta le meravigliose impressioni che in lui ha destato la lettura della raccolta verleniana, Feste galanti: «È qualcosa di molto bizzarro, di stranissimo; ma in realtà adorabile!») e fu invece per la terribile pesantezza che Verlaine infondeva nella sua esistenza, così tesa all'autodistruzione, che poi lo volle fermamente abbandonare. Furono compagni di arte e di bagordi, ma soprattutto amanti nel modo più puro e completo; però, in quanto uomini rimasti prigionieri della loro stessa arte, nel loro eterno conflitto tra lo stato ideale della poesia - in cui erano padroni - e quello imperfetto, misero e fugace della realtà - in cui erano reietti -, finirono con lo scagliarsi contro il mondo, ritirandosi in un rapporto esclusivo, in cui l'uno eleggeva l'altro a proprio salvatore, quando entrambi in realtà stavano affogando, così che invece di salvarsi, rischiarono per poco di distruggersi a vicenda.
Paul-Marie Verlaine era nato a Metz, capitale della
Lorena, il 30 marzo 1844. Suo padre, Nicolas Auguste Verlaine di Bertrix,
capitano del genio, e sua madre, Elisa-Stéphanie Dehée, di famiglia di
agricoltori, non erano più giovani al momento della sua nascita, la quale fu
accolta con estremo piacere, dopo che la coppia aveva subito il dolore di tre
aborti. Il figlio tanto desiderato fu però - proprio per questo, anzi - oggetto
di un gran numero di attenzioni e di aspettative, le quali pesarono sul suo
carattere in modo da debilitarne l'autostima e accrescere il suo bisogno d'un
riscontro affettivo, con chiunque e in ogni situazione. Nel 1851 la famiglia si
trasferì a Parigi, dove il giovane Paul ebbe modo di cominciare i suoi studi,
precisamente nel collegio Landry. Fondamentale nella sua infanzia sarebbe stata
la presenza della cugina Élisa Moncomble, rimasta orfana ed allevata in casa;
per la dolce e attraente ragazza egli sviluppò un particolare e audace affetto.
Con profonda tristezza infatti egli accolse la notizia del suo matrimonio,
avvenuto nel 1861, nonostante, a partire dall'agosto dell'anno seguente, visse
nella casa di Élisa e di suo marito, indimenticabili vacanze trascorse tra
letture, caccia e passeggiate. Fu questo però il periodo in cui Verlaine,
scontento di se stesso e del suo insuccesso sociale, cominciò a bere.
Fondamentale per la formazione artistica del giovane
Paul, fu la lettura di Baudelaire, cominciata per caso negli anni di liceo.
Così egli avrebbe ricordato questo incontro nel suo scritto autobiografico, Confessioni
(Confessions, 1895):
Le mie prime letture o per essere precisi la mia
prima, primissima lettura fu [...] Les fleurs du mal, prima edizione,
che un istitutore aveva sbadatamente lasciato sulla cattedra e che io non mi
feci scrupolo di confiscare. Inutile dire che non avevo alcuna idea di
questo genere di poesia, così fuori dalla mia portata a quella età, che pur
nutrivo di misurati "brani scelti"... Persino il titolo mi rimase a
lungo inaccessibile e divorai il libro senza capire nient'altro se non che
parlava di "perversità" (come si dice nei collegi per fanciulle) e
talvolta di... nudità, duplice attrattiva per la mia giovane
"corruzione", - ed ero fermamente persuaso che il libro si chiamasse,
molto semplicemente, Les fleurs de mai (I fiori di maggio, N.d.T.). Come
che sia, Baudelaire ebbe su di me in quel periodo un'influenza se non altro di
imitazione infantile e con tutte le sue possibili variazioni, eppure fu
un'influenza reale e non poteva che crescere e, insomma, guadagnare in
chiarezza e in logica.
Si iscrisse poi alla facoltà di legge; prese inoltre
lezioni di matematica, nell’intenzione di partecipare al concorso per il
Ministero delle Finanze. Nell'estate del 1863 Verlaine pubblicò il suo primo
sonetto, "Monsieur Prudhomme" (firmandosi come Pablo), su " La
Revue du Progrès", fondata quello stesso anno da Louis Xavier de Ricard,
la cui madre, marchesa de Ricard, accolse il giovane poeta nel suo salotto
aristocratico e letterario. Qui egli conobbe Théodore de Banville, Auguste de
Villiers de L'Isle-Adam, François Coppée e gli altri poeti che avrebbero
formato il "Parnasse contemporain", gruppo letterario che avrebbe
realizzato tre volumi di un nuovo genere di poesia, pubblicati dall'editore
Alphonse Lemerre. Così il critico napoletano Vittorio Pica (1862-1930), sintetizzò
i principi della poesia "parnassiana":
Infine, in opposizione al lirismo ispirato, tempestoso
e scompigliato di Lamartine e di Musset, ai quali poco stava a cuore la
ricchezza della rima e la sonora armonia dei ritmi, i Parnassiani, seguendo
l'esempio di Gautier e di Leconte de Lisle, volevano bandita la passione dai
canti dei poeti ed aspiravano ad un ideale di bellezza plastica, ad una fredda
e splendida rigidità marmorea, ad un superbo ed impassibile oggettivismo.
Sette delle poesie di Verlaine sarebbero state
pubblicate nel IX fascicolo del "Parnasse contemporain" (1866). Il
suo stile, seppur affinatosi a partire dalla tecnica di questa scuola poetica,
si sarebbe poi distinto per una portata emotiva e una espressione musicale
assolutamente distintivi e originali.
Nel 1864 la famiglia Verlaine cominciò a versare in
pessime condizioni finanziarie, e la salute del padre divenne malferma. Egli si
decise allora ad abbandonare gli studi giuridici, accettando di impiegarsi,
dapprima in una compagnia di assicurazioni, poi presso l'amministrazione del
Municipio di Parigi. Frequenti erano divenute le sue frequentazioni del Café du
Gaz: bere era ormai diventato un vizio. Il 30 dicembre 1865 morì suo padre.
Verlaine era passato nel frattempo alla Prefettura della Senna, con uno
stipendio discreto.
Nel novembre del 1866, grazie all'aiuto economico di
sua cugina Élisa, Verlaine poté pubblicare la sua prima raccolta poetica, dal
titolo Poesie saturnine (Poèmes saturniens), edita da Lemerre. In
essa cominciava a delinearsi quello che, con la maturità, sarebbe divenuto il
suo personale stile: le parole vengono sciolte dal poeta in gocce di musica, i
versi così si trovano proiettati su di un pentagramma, e la poesia non diventa
altro che un armonioso e seducente invito ad abbandonarsi alla corrente della
memoria e dei sensi, come traspare, in maniera elegantissima, nella celebre
poesia "Il mio sogno familiare" (Mon rêve familier):
d’una donna sconosciuta, che io amo, e che mi ama,
e che ogni volta non è mai davvero la stessa
né mai davvero un’altra, e mi ama e mi comprende.
Poiché ella mi comprende, il mio cuore limpido
per lei sola, ahimè!, non è più un problema,
per lei sola, e la mia umida fronte impallidita
solo lei sa rinfrescarla, quando piange.
È lei bruna, bionda o rossa? Lo ignoro.
Il suo nome? Ricordo che è dolce e sonoro,
come quelli dei cari che la vita ha esiliato.
Il suo sguardo è come quello delle statue,
e la sua voce, lontana, calma e grave,
ha l’inflessione delle voci amate e ormai mute.
(Traduzione di Andrea Giampietro)
Il 16 febbraio 1867 sua cugina Élisa morì a Lécluse;
Verlaine arrivò tardi al funerale, e trascorse tre giorni disperati ad
ubriacarsi, destando scandalo in famiglia e nel paese. Tornato a Parigi,
cominciò a bere l'assenzio. Nel 1868 prese a frequentare il salotto bohèmien di
Nina de Villard, ex contessa di Callias, in cui vi ritrovò gran parte degli
ospiti del salotto Ricard. Nel marzo dell'anno seguente uscì da Lemerre il
volumetto, Feste galanti (Fêtes galantes). Questa raccolta è
singolare, in quanto si propone come delizioso affresco di una realtà magica e
irreale, in cui dietro maschere carnevalesche e ambientazioni arcadiche, si
racconta il languore di una sussurrata, tenera e quasi nostalgica passione
d'amore. Riporto di seguito una delle più celebri poesie della raccolta:
"Gli ingenui"
Gli alti tacchi con le lunghe gonne lottavano,
sì che secondo il vento o il terreno, un polpaccio -
immancabilmente intercettato! - lampeggiava;
ci piaceva quel gioco d'essere presi al laccio.
Oppure il pungiglione d'un insetto geloso
molestava dai rami il collo delle belle,
ed erano bagliori di nuche bianche, un goloso
banchetto che riempiva i nostri occhi folli.
La sera discendeva, equivoca sera autunnale:
le belle trasognate, al nostro braccio appese,
dissero a bassa voce così speciose parole
che l'anima da allora ne trema e si stupisce.
(Traduzione di Lanfranco Binni)
La sua rivoluzione stilistica, sia per quanto riguarda la metrica dei suoi versi sia per il carattere più intimamente espressivo della sua poetica, viene perfettamente riconosciuta e analizzata nelle pagine che Joris Karl Huysmans gli dedicò nel suo celebre romanzo Controcorrente (À rebours), del 1884, il quale avrebbe contribuito non poco ad accrescere la fama di Verlaine nei suoi ultimi dieci anni di vita:
Avvalendosi
come rima di forme che il verbo assume nella sua flessione, talvolta persino di
lunghi avverbi, traboccanti da un monosillabo come dall'orlo d'una pietra una
pesante massa d'acqua, il suo verso, spezzato da inverosimili cesure, diventava
spesso singolarmente astruso per l'audacia delle elissi e per strane
scorrettezze non prive tuttavia di grazia. Signore come nessuno della metrica,
aveva cercato di ringiovanire le forme poetiche a schema fisso [...] Ma la sua
originalità risiedeva principalmente in questo: nell'aver saputo rendere vaghe
e squisite confidenze, scambiate sottovoce nel crepuscolo. Lui solo era
riuscito a suggerire certe conturbanti intimità dell'anima, pensieri men che
sussurrati, confessioni così a fior di labbro ed interrotte che l'orecchio di
chi le percepisce resta esitante, mentre nell'anima gli si diffonde un languore
avvivato dal mistero di quel soffio, più che udito, indovinato.
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