giovedì 7 giugno 2012

LE AMICHE


Se c'è un tema ritenuto più scabroso dell'omosessualità, è quello dell'omosessualità femminile. Difficilmente si rinuncia all'immagine, in quanto rappresentazione archetipica, della donna al servizio dell'uomo, dedita al soddisfacimento dei suoi bisogni, soprattutto di quelli sessuali. Paradossalmente, due grandi uomini di lettere si interessarono dell'amore tra donne: Baudelaire e Verlaine. Il pauvre Verlaine, prima ancora di comporre poesie che trattassero il tema dell'omosessualità maschile (e sappiamo di che genere ne avrebbe composte), affrontò nei suoi versi giovanili proprio l'amore cosiddetto saffico. Nel 1867 egli pubblicò in Belgio, avvalendosi di uno pseudonimo, la raccolta Les Amies. Scènes d'amour saphique (Le amiche. Scene d'amore saffico), che però sarebbe stata condannata per oscenità e immediatamente ritirata. Nel 1889 le poesie in questione vennero inserite, senza alcun problema di censura, nella celebre silloge poetica, Parallèlement (Parallelamente).
Questi versi a mio avviso sono un capolavoro di grazia, così soavemente cangianti nei toni: alla più fervida passione, si alterna armoniosamente il più tenero languore.

Dedico queste poesie a tutte le donne e alla loro libertà di essere e di amare.


LE AMICHE


I o Sul balcone

Guardavano entrambe le rondini in fuga:
l'una pallida, capelli di giaietto, l'altra bionda
e rosa, e le vestaglie leggere di antica trina
serpeggiavano vaghe, come nuvole, intorno a loro.

Ed entrambe, con languori d'asfodeli,
mentre saliva in cielo la luna tonda e morbida,
assaporavano a sorsi lunghi l'emozione profonda
della sera e la triste felicità dei cuori fedeli.

Così, con madide braccia stringendosi alla vita
sottile, strana coppia che compiange le altre coppie,
così sul balcone le giovani donne sognavano.

Dietro di loro, in fondo al ricco rifugio in penombra,
enfatico come un trono da melodramma,
e pieno di odori, il Letto, disfatto, si apriva nell'ombra.


II o Collegiali

L'una di quindici anni, l'altra di sedici;
dormivano entrambe nella stessa stanza.
Era una sera afosa di settembre:
fragili, occhi azzurri, rossori di fragola.

Per stare a proprio agio, han lasciato cadere
le fini camicie dal fresco profumo d'ambra.
La più giovane tende le braccia e s'inarca,
e la sorella, le mani sui seni, la bacia,

poi s'inginocchia, e diventa selvaggia
e agitata e folle, e la sua bocca
affonda nell'oro biondo, nelle ombre grigie;

e intanto la fanciulla va contando
sulle dita graziose i valzer promessi
e rosea sorride innocente.


III o Per amica silentia

Le lunghe tende di mussola bianca
che il fioco bagliore della lampada
lascia fluire come onda opalescente
nell'ombra languida e misteriosa,

le grandi tende del gran letto di Adeline
hanno udito, Claire, la tua voce ridente,
la tua dolce voce argentina e suadente
che un'altra voce avvolge furiosa.

"Amiamo, amiamo!" dicevate insieme,
Claire, Adeline, vittime adorabili
del nobile voto delle anime sublimi.

Amate, amate! o care Solitarie,
perché in questi giorni di sventura, ancora
portate su di voi lo Stigma glorioso.


IV o Primavera

Tenera, la giovane donna fulva,
eccitata da tanta innocenza,
sussurra alla bionda giovinetta
queste parole, piano, dolcemente:

"Linfa che sale e fiore che sboccia,
la tua infanzia è una pergola:
lascia vagare le mie dita nel muschio
dove brilla il bocciolo di rosa,

"lasciami bere nell'erba chiara
le gocce di rugiada
che bagnano il tenero fiore,

"affinché, mia cara, il piacere
illumini la tua candida fronte
come l'alba il timido azzurro".


V o Estate

E la fanciulla rispose, in deliquio
sotto l'inesauribile carezza
dell'amante trafelata:
"Io muoio, mia adorata!

"Io muoio; il tuo seno infuocato
e pesante m'inebria e mi opprime;
la tua carne forte da cui sgorga l'ebbrezza
emana un profumo strano;

"ha, la tua carne, il fascino oscuro
delle estive maturità,
e ne ha l'ambra, e l'ombra;

"tuona la tua voce tra le raffiche,
la tua capigliatura sanguinante
fugge bruscamente nella notte lenta".


VI o Saffo

Furiosa, gli occhi infossati e i seni ritti,
Saffo, divorata dal languore del desiderio,
come una lupa corre lungo le fredde rive;

pensa a Faone, dimentica del Rito,
e vedendo a tal punto sdegnate le sue lacrime,
a manciate si strappa i capelli immensi;

e rievoca, tra rimorsi implacabili,
i tempi in cui splendeva, pura, la giovane gloria
dei suoi amori cantati in versi che la memoria
dell'anima ripeterà alle vergini dormienti:

ed ecco ch'ella serra le palpebre livide
e salta nel mare dove la Moira la chiama,
mentre esplode nel cielo, e incendia l'acqua nera,
la pallida Selene che vendica le Amiche.


(Paul Verlaine, Poesie, Garzanti, traduzione di Lanfranco Binni)


mercoledì 9 maggio 2012

BIOGRAFIA DI PAUL VERLAINE Quinta parte


Rimasto da solo, Verlaine andò ad abitare insieme a sua madre, e presto tornò a dedicarsi a una vita di ubriachezza e vagabondaggio, accompagnandosi spesso a ragazzini corrotti. Ed avrebbe conosciuto nuovamente la galera quando, dopo aver tentato di strangolare sua madre ed aver minacciato il vicino di casa che aveva tentato di fermarlo, fu condannato ad un mese di prigione (13 aprile-13 maggio 1885). Una volta scarcerato, vagò senza un soldo nella regione di Rethel e nelle Ardenne. Tornato a Parigi, si riappacificò con la madre, con cui andò a vivere in una stanzetta in affitto. In quel periodo cominciarono i problemi di salute: un'artrosi al ginocchio lo tenne immobilizzato per diverso tempo al letto. Intanto però la sua fama letteraria andava sempre più crescendo. Nel 1884 l’editore Vanier aveva pubblicato una raccolta di tre saggi, precedentemente apparsi nella rivista “Lutèce”, sotto il titolo de I poeti maledetti (Les poètes maudits), in cui Verlaine analizza con viva passione e profondo acume critico tre grandi e misconosciuti autori del suo tempo, quali Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé e Tristan Corbière. Nella prefazione a questo libro egli espresse chiaramente le proprie intenzioni:

Per rimanere in atmosfera calma, avremmo dovuto dire Poeti Assoluti. Ma, a parte il fatto che ai nostri tempi la calma non va di moda, il titolo ha di buono questo, che risponde con precisione al nostro odio e, ne siamo certi, a quello dei sopravvissuti fra gli Onnipotenti in questione, per la volgarità dei «lettori scelti» - grossolana falange che ce lo ricambia a dovere.
Assoluti nell’immaginazione, assoluti nell’espressione, assoluti come i Reys netos dei secoli più belli.
Però: maledetti!
A voi giudicare.

Nella seconda edizione del 1888, nella raccolta sarebbero stati aggiunti i ritratti di Marceline Desbordes-Valmore, Villiers de l'Isle-Adam, e dell’autore stesso, il cui nome viene celato scherzosamente nell’anagramma “Pauvre Lelian”. 

Nel frattempo era uscita, sempre edita da Vanier, una nuova raccolta di versi dal titolo Un tempo e poco fa (Jadis et naguère), miscellanea di vecchi e nuovi componimenti, tra cui spicca quello che contribuì a fare di Verlaine un poeta cosiddetto "decadente", e in cui viene espressa la rassegnazione di un animo distrutto dall'indolenza, atterrato dalla mancanza di volontà e di slancio vitale, conscio della propria impotenza e lieto di crogiolarsi nel proprio disfacimento:


"Languore"

 

Sono l’Impero alla fine della decadenza
che guarda passare i grandi barbari bianchi
e in stile d’oro compone acrostici indolenti
dove il languore del sole danza.    


L’anima solitaria soffre di una noia densa,
laggiù, dicono, lunghe battaglie crudeli,
oh non potervi, indebolito dalle fiacche voglie,
oh non volervi fiorire un po’ quest’esistenza.


Oh non volervi, oh non potervi morire un poco!
Ah! tutto è bevuto! Batillo hai finito di ridere?
Ah! tutto è bevuto, tutto è mangiato. Niente più da dire.


Solo una poesia un po’ sciocca da gettare al fuoco,
solo uno schiavo un po’ svelto che vi trascura,
solo una noia di non si sa cosa che vi addolora!


(Traduzione di Andrea Giampietro)


Nel 1886 la madre di Verlaine morì, e suo figlio, trovandosi a letto immobilizzato, non poté neanche assistere al suo funerale. Mathilde si incaricò di ricevere le condoglianze; a lei andarono gli ultimi mille franchi dei risparmi materni, visto che Paul non le aveva mai fatto avere la somma mensile pattuita. Con i pochi soldi rimasti, il poeta andò a vivere insieme a Marie Gambier: questa sarebbe stata la prima di altre sordide relazioni occasionali che egli avrebbe intrattenuto sino alla fine della sua vita. Negli ultimi anni infatti Verlaine si sarebbe diviso principalmente tra due prostitute, Eugénie Krantz e Philomène Boudin, con le quali cercò di instaurare dei rapporti duraturi, ma invano, visto che tutte e due gli erano infedeli e spesso lo derubavano dei suoi pochi soldi. Alle due donne egli avrebbe dedicato le raccolte Canzoni per lei (Chansons pour elle, 1891) e Odi in suo onore (Odes en son honneur, 1893).

Nella primavera del 1886 conobbe il giovane disegnatore e chansonnier Frédèric-Auguste Cazals (1865-1941), il suo ultimo amore omosessuale, che per volontà di quest'ultimo fu sublimato in una sincera amicizia. Cazals sarebbe diventato il suo ritrattista ufficiale. Di lui Verlaine scrisse, nella sua raccolta di ritratti biografici Les hommes d'aujourd-hui:

...è il mio migliore amico. La prova è che abbiamo rischiato di fare una decina di duelli a causa della nostra reciproca e tenace lealtà. Estremista in tutto, spirito, talento, - e abbigliamento, più parigino dei parigini e meno sciocco di quel che si potrebbe temere, è il più divertente dei compagni e il più fedele degli amici.


Dal 1887, man mano che la salute fisica andava peggiorando (all'artrosi si sarebbero aggiunte l'erisipela, la sifilide e un principio di diabete), cominciò la sua peregrinazione presso gli ospedali parigini. Dopo Amore, nel 1889 venne pubblicata la celebre raccolta Parallelamente (Parallèlement), prezioso florilegio di mistiche e audaci suggestioni sensuali, in cui il poeta dimostra di essere riuscito ormai a sgravare il proprio verso dal triste fardello della penitenza e della colpa, riuscendo a liberare, in un soave labirinto di languidi sapori, la proibita corrente dei sensi. Una sezione della silloge, dal titolo "Le amiche" (Les amies), composta da poesie risalenti al 1867, racconta con delizia episodi di amore saffico. Eccone due esempi:
 

"Primavera"

Tenera, la giovane donna fulva,
eccitata da tanta innocenza,
sussurra alla bionda giovinetta
queste parole, piano, dolcemente:

«Linfa che sale e fiore che sboccia,
la tua infanzia è una pergola:
lascia vagare le mie dita nel muschio
dove brilla il bocciolo di rosa,


«lasciami bere nell'erba chiara
le gocce di rugiada
che bagnano il tenero fiore,

«affinché, mia cara, il piacere
illumini la tua candida fronte
come l'alba il timido azzurro».



"Estate"

E la fanciulla rispose, in deliquio
sotto l'inesauribile carezza
dell'amante trafelata:
«Io muoio, mia adorata!

«Io muoio; il tuo seno infuocato
e pesante m'inebria e mi opprime;
la tua carne forte da cui sgorga l'ebbrezza


emana un profumo strano;

«ha, la tua carne, il fascino oscuro
delle estive maturità,
e ne ha l'ambra, e l'ombra;

«tuona la tua voce tra le raffiche,
la tua capigliatura sanguinante
fugge bruscamente nella notte lenta».


(Traduzione di Lanfranco Binni)


Il celebre poeta Paul Valéry (1871-1945) avrebbe offerto un delizioso e avvincente ritratto dell'ultimo Verlaine, che di sovente vedeva camminare in strada diretto verso qualche Caffè:
 

Quel maledetto, quel benedetto, zoppicando, batteva il suolo col pesante bastone dei vagabondi e degli infermi. Miserabile, gli occhi fiammeggianti sotto i cespugli delle sopracciglia, stupiva tutta la via con la sua brutale maestà e con lo scoppio dei suoi discorsi fragorosi. Circondato da amici, appoggiato al braccio di una donna, parlava - pestando il proprio passaggio - alla sua piccola scorta devota. D'improvviso si fermava, consacrandosi furiosamente alla pienezza dell'invettiva. Poi la disputa si incamminava. Verlaine si allontanava coi suoi, in un penoso picchiare di zoccoli e di bastone, prorompendo in una collera magnifica che a volte - come per miracolo - si tramutava in una risata fresca quasi come il riso di un bimbo.

Particolarmente delicate, acute e passionali sono le parole che il poeta Léon-Paul Fargue (1876-1947) avrebbe speso nel suo bellissimo saggio, Il ya cinquante ans mourait Paul Verlaine”, pubblicato come prefazione a una riedizione delle Confessioni:

Mi piaceva osservarlo al caffè e mi restava l’indimenticabile immagine di quell’uomo abbattuto e luminoso, appoggiato col dorso consunto alla fintapelle del locale, l’occhio diffidente, come d’animale che tema le busse, la parte inferiore del viso immersa in una sciarpa, le mani in tasca, le gambe accavallate, dio tenebroso e clemente di quell’angolo di taverna dove il tavolo di marmo bianco era come l’enorme pagina bianca su cui doveva apparire per magica operazione la poesia più fluida e vera della nostra letteratura. Rivedo la caraffa e il suo marchio, il bicchiere pieno a metà della sua cupa mistura color dell’ostrica, il piccolo calamaio delle guardarobiere, il bastone, il cappello, i chiodi di rame dei divanetti, tutti questi vividi particolari, fino al pirogeno, agli specchi, all’attaccapanni, che la fotografia ha lasciato in eredità a coloro che non hanno avuto la ventura di avvicinare quella figura di vagabondo abbindolato da fuochi fatui, quella gran testa spiccata da un busto di marmo, quella barba da statua dimenticata in una foresta. Rivedo tutto questo e subito mi sento spiato, adunghiato dalla tristezza. [...] Mi piace paragonarlo a un disperato che voglia gettarsi nel fiume per sottrarsi alla connaturata e crudele volgarità degli uomini, annegare sotto i loro sguardi, colare a picco davanti a un’assemblea di bruti gallonati, di cervelli di gallina, di scagnozzi d’ogni risma, e che, al momento di inabissarsi, tiri fuori dal fango, per brandirle improvvisamente, le rose più belle del mondo.



Ma non pochi furono avversi e meschini nei confronti di quella tetra figura faunesca che si trascinava per le strade del Quartiere Latino. Lo scrittore Jules Renard ad esempio, autore del famoso Pel di carota, lo definiva così:

Lo spaventoso Verlaine - un tetro Socrate e uno sconcio Diogene; sembra un cane e una iena.

Ma oltre agli artisti, ai letterati, agli ammiratori, agli approfittatori e alle prostitute, una pittoresca figura di amico ed assistente fu accanto a Verlaine, con particolare devozione, nei suoi ultimi anni di vita. Parlo di Bibi-la-Purée (il cui vero nome era Andre Salis), una sorta di vagabondo, astuto e traffichino, che però ammirava sinceramente il poeta, da lui chiamato “Maestro”, e non erano poche le sere in cui doveva prendere di peso il povero Verlaine per portarlo a casa dopo la solita sbronza.

Tornando a parlare del suo stile poetico, bisogna notare che il Verlaine degli ultimi anni finì col cedere, nei suoi versi, a una sensualità maggiormente carnale e ostentata, lontana dalle dolci allusioni e dalle suadenti atmosfere del suo primo periodo. A questo periodo appartengono le raccolte Donne (Femmes, 1890) e Hombres (Hombres, 1891, uscita postuma nel 1903), due libri caratterizzati da un tono di dolce e goliardica oscenità, il secondo dei quali rappresenta un'esaltazione goduriosa delle sue passioni omosessuali.

All’ultimo periodo appartengono anche raccolte come Dediche (Dedicaces, 1890), una serie di poesie dedicate ad amici e colleghi, Epigrammi (Epigrammes,1894) e soprattutto Invettive (Invectives, pubblicata postuma nel 1896), in cui il poeta raccoglie una serie di componimenti dal tono sferzante, ironico e canzonatorio.

Nonostante sia caratterizzata soprattutto da gravi malanni e da una condizione di estrema indigenza, la fase finale della sua vita riservò a Verlaine riconoscimenti sempre più prestigiosi: tra il 1892 ed il '93 fu invitato a tenere una serie di conferenze in Olanda e poi in Belgio sulla poesia contemporanea, e nel maggio del 1894, succedendo a Leconte de Lisle, venne eletto "Principe dei Poeti".

Colpito da una polmonite, Paul Verlaine morì l'8 gennaio 1896, all'età di cinquantun anni.

Così l'estimatore e amico Vittorio Pica, avrebbe parlato, nel suo libro Letteratura d'eccezione (1898), a proposito della scomparsa del poeta:

Lo sventurato e geniale autore di "Sagesse" è morto, amorevolmente assistito da un amico, in una cameretta di una molto modesta pensione in via Descartes, tortuoso vicolo del Quartier Latino alle spalle del Panthéon. Io la conosco questa cameretta, per essermici più volte recato a visitare Verlaine, così semplice, simpatico e non di rado arguto nei rapporti amichevoli, e rammento bene che essa era abbastanza piccola ed a metà buia e che, essendo al terzo piano, vi si giungeva per una scala erta ed angusta. Negli ultimi mesi alcuni fidi amici ed ammiratori del poeta si erano messi d'accordo [..] per rendergli meno penosa la tanto travagliata esistenza e per procurargli un po' di relativo benessere domestico; sicché il poverino ha potuto esalare l'ultimo respiro in un ambiente non certo di lusso, ma pulito ed alquanto confortabile.
Ed ora il soave ed ardente poeta, i cui ultimi versi furono un'appassionata invocazione alla morte ("La morte che noi amiamo, che sempre ci fu meta - di questo cammino dove prosperano il rovo - e l'ortica, oh! morte senza più grevi angosce, - deliziosa, la cui vittoria è l'annuncio!"), dorme il supremo sonno nella pace del cimitero di Batignolles, dove gli dettero l'ultimo saluto Coppée, Mallarmé, Mendès, Lepelletier, Barrès, Khan e Moréas e dove ne accompagnò, rispettosa e commossa, la salma tutta la gioventù letteraria, che vive, combatte e sogna nell'intellettuale e nobile città di Parigi.

Si narra che di fianco all'Opéra, dove qualche giorno prima era passato il corteo funebre, cadesse dalla statua della Poesia, che insieme a tante altre ornava quel lato dell'edificio, la lira ch'essa reggeva tra le braccia, e andasse a spezzarsi al suolo.

La Musa aveva perduto così il suo più tormentato cantore, eppure, tra tutti, il più delicato.


SONO SOLTANTO UN LIBRO


"Io dico che Democrazia e Socialismo sono la morte della Cultura. Oggi si fanno libri per tutti, si vuole l'Arte per tutti. Come si chiedono ferrovie e riscaldamento per tutti. Che orrore questi tutti! Che viaggino pure in treno e che si riscaldino, se ci tengono tanto. Ma che non pretendano poi di leggere un mio libro come si legge il giornale, che va appunto in mano a tutti. No, io non voglio piacere a tutti. Perché quel che c'è di meglio nell'Arte sfuggirà sempre alle nature mediocri, cioè ai tre quarti del genere umano. Piacere a tutti... che vergogna! Se questo è il prezzo della popolarità, essere ridotto al livello del giornale, grazie tante, non ci tengo. Preferisco rinchiudermi in me stesso e continuare la mia opera a testa bassa, come una talpa."


"Io non sono Gustave Flaubert. In questo momento sono Madame Bovary.

Io non esisto. Non ci sono. La mia persona non conta, non ha la minima importanza. Io mi annullo nel personaggio, scompaio nel paesaggio. Mi identifico in un sasso che rotola o nel grido di un uccello. Io sono il sapore dell'arsenico nella bocca di Emma e con lei mi avveleno. Io sono una carrozza, un cavallo bianco, un treno. Sono ogni parola che scrivo, ogni cancellatura, ogni esitazione, ogni virgola, ogni segno d'interpunzione, ogni scarabocchio che traccio su un foglio di carta. Se sostiene di avermi visto, si sbaglia. Lei non mi può vedere perché io non esisto, e se mi ha conosciuto, allora vorrà dire che mi ha letto. Perché io sono soltanto questo: un libro. E un libro, mi creda, a volte può essere tutto."

sabato 7 aprile 2012

ADOLESCENTE, PERDONAMI...


Bisogna lasciare crescere le proprie unghie per quindici giorni. Ah! com’è dolce strappare brutalmente dal suo letto un ragazzo che non ha niente ancora sul labbro superiore, e passare soavemente la mano sopra la sua fronte, e piegare indietro i suoi bei capelli. Poi, all’improvviso, affondare le proprie unghie interamente nel suo petto morbido, in modo che non muoia; poiché, se morisse, non avremmo più tardi l’immagine delle sue miserie. Quindi beviamo il sangue leccando le sue ferite; e, durante questo tempo, che dovrà durare quanto dura l’eternità, il giovane piange. Niente è buono quanto il suo sangue, estratto come vi ho detto, e tutto caldo ancora, quanto queste lacrime amare come il sale. Uomo, non hai mai gustato il tuo sangue, quando per combinazione ti sei tagliato un dito? Quanto è buono, non è vero, poiché non ha alcun gusto. Inoltre, non ricordi d’avere un giorno, nelle tue lugubre riflessioni, portato la mano, a fondo incavata, sulla tua immagine malsana bagnata da ciò che cadeva dagli occhi, la quale mano quindi si dirigeva fatalmente verso la bocca che attingeva a lunghi sorsi, in questa coppa tremante come i denti dell’allievo che di sbieco osserva colui che è nato per opprimerlo, le lacrime? Come sono buone, non è vero, poiché hanno il sapore dell’aceto. Diremmo le lacrime di colei che più si ama; ma le lacrime del ragazzo sono migliori al palato; lui non tradisce, non conosce ancora il male: colei che più si ama tradisce presto o tardi...; io lo so. Dunque, poiché il tuo sangue e le tue lacrime non ti disgustano, nutriti; nutriti con fiducia delle lacrime e del sangue dell’adolescente. Bendagli gli occhi finché tu strazierai le sue carni palpitanti; e, dopo aver sentito per lunghe ore le sue grida sublimi simili, simili ai rantoli penetranti lanciati nella battaglia dalle gole dei feriti in agonia, allora, dovrai allontanarti, come una valanga ti precipiterai nella stanza vicina, e farai finta di venire in suo aiuto. Gli scioglierai le mani dai nervi e dalle vene gonfie, renderai la vista ai suoi occhi smarriti, rimettendoti a leccare le sue lacrime e il suo sangue. Oh! come allora sarà vero il pentimento. La scintilla divina presente in noi, che sembrava così rara, si mostra; troppo tardi! Come è felice il cuore di poter consolare l’innocente a cui si è fatto del male: "Adolescente, che hai sofferto dolori crudeli, chi dunque ha potuto commettere su di te un crimine che non so come qualificare! Infelice che sei! Come dovrai soffrire! E se tua madre lo sapesse, non sarebbe più vicina alla morte, tanto aborrita dai colpevoli, di quanto lo sia io adesso! Ahimè! cosa sono dunque il bene e il male? Sono una sola cosa attraverso cui testimoniamo con rabbia la nostra impotenza, e il desiderio di giungere all’infinito mediante i modi più insensati? Oppure sono due cose differenti? Che siano piuttosto una sola cosa, o altrimenti che ne sarà di me nel giorno del giudizio? Adolescente, perdonami; è colui che sta davanti alla tua figura nobile e sacra ad aver frantumato le tue ossa e straziato le tue carni che pendono in punti diversi del tuo corpo. È stato un delirio della mia ragione malata, un istinto segreto indipendente dai miei ragionamenti, simile a quello dell’aquila dilaniante la sua preda, a spingermi a commettere questo crimine; eppure, come la mia vittima, io soffro! Adolescente, perdonami! Una volta uscito da questa vita passeggera, voglio stare a te intrecciato per tutta l’eternità; non formare che un solo essere, la mia bocca incollata alla tua bocca; eppure, in questo modo, la mia espiazione non sarà completa. Allora tu mi strazierai senza mai fermarti; fallo con i denti e con le unghie allo stesso tempo. Io ti lascerò fare, e noi soffriremo insieme, io d’essere straziato; tu di straziare me, la mia bocca incollata alla tua bocca. O adolescente dai capelli biondi, dagli occhi tanto dolci, farai adesso ciò che ti consiglio? Malgrado te io voglio che tu lo faccia, e renderai felice la mia coscienza." Dopo aver parlato così, allo stesso tempo tu avrai fatto del male a un essere umano, e sarai amato da quello stesso essere: è questa la gioia più grande che si possa concepire. Più tardi lo potrai portare all’ospedale, poiché l’immobilizzato non potrà guadagnarsi da vivere. Ti chiameranno buono, e le corone d’alloro e le medaglie d’oro nasconderanno i tuoi piedi nudi, sparsi sulla grande tomba, dall’aspetto vegliardo. O tu, il cui nome non voglio scrivere su questa pagina che rende sacro il delitto, io so che il tuo perdono fu immenso come l’universo. Ma io esisto ancora!


(Da I canti di Maldoror del Conte di Lautréamont, traduzione di Andrea Giampietro)

venerdì 30 marzo 2012

LA TOMBA DEL POVERO POE

E il povero Poe, che morì pazzo e alcolizzato in un buco di Baltimora, ebbe la sventura di scegliere come curatore postumo della sua opera Rufus Griswold. Senza sapere che Griswold lo disprezzava, che quella sottospecie di amico e paladino avrebbe passato anni a tentare di distruggere la sua reputazione.
- Povero Poe.
- Eddie non era fortunato. Non lo era da vivo, e non lo è stato neanche da morto. Lo seppellirono nel 1849 in un cimitero di Baltimora, ma ci vollero ventisei anni prima che mettessero una lapide sopra la sua tomba. Un suo parente ne aveva ordinata una subito dopo la sua morte, ma finì in uno di quei macabri casini per cui ti chiedi chi ha le redini del mondo. A proposito di follia umana, Nathan. Il laboratorio del marmista, tu pensa, si trovava sotto un tratto di ferrovia sopraelevato. Proprio mentre stavano finendo di tagliare il marmo, un treno deragliò, si abbatté nel cortile del marmista e distrusse la lapide; e dato che il parente non era abbastanza ricco per ordinarne un’altra, Poe giacque il quarto di secolo successivo in una tomba senza nome.
- Come conosci tutte queste cose, Tom?
- Sono note.
- A me no.
- Perché non hai fatto il dottorato. All’età in cui tu eri in giro a salvare la democrazia nel mondo, io me ne stavo seduto in biblioteca a farcirmi il cervello di nozioni superflue.
- Ma alla fine... chi pagò la lapide?
- Un gruppo di insegnanti locali costituì un comitato per raccogliere i fondi. Che tu lo creda o no, ci misero sei anni. Quando ebbero finito il monumento, i resti di Poe furono esumati, trasportati su un carro attraverso la città e tumulati in un cimitero di Baltimora. La mattina dell’inaugurazione si tenne una speciale cerimonia in un posto chiamato Western Female High School. Un nome strepitoso, vero? La Scuola Superiore Femminile dell’Ovest. Invitarono tutti i maggiori poeti americani, ma sia Whittier sia Longfellow sia Oliver Wendell Holmes trovarono scuse per non intervenire. Solo Walt Whitman si sobbarcò il viaggio. E dato che la sua opera da sola vale più di quelle di tutti gli altri messi insieme, lo considero un atto di sublime giustizia poetica. L’interessante è che quel mattino era presente anche Stéphane Mallarmé. Non in carne e ossa... ma il suo famoso sonetto "Le tombeau d’Edgar Poe" fu composto per l’occasione, e anche se non riuscì a finirlo in tempo per la cerimonia, fu presente in spirito. Mi piace molto, Nathan... Whitman e Mallarmé, padri gemelli della poesia moderna, in piedi alla Western Female High School per rendere omaggio insieme al loro avo comune, il disonorato e infamato Edgar Allan Poe, il primo vero scrittore che l’America abbia dato al mondo.

(Paul Auster, Follie di Brooklyn, Einaudi)



Di seguito il celebre sonetto La tomba di Edgar Poe di Sthéphane Mallarmé:

Quale in Se Stesso alfine l’eternità lo muta,
il Poeta suscita con un gladio nudo
il suo secolo sconvolto di non aver saputo
che la morte trionfa in quella strana voce!

Essi, come vile sussulto d’Idra che udì l’Angelo
dare al linguaggio tribale un senso più puro,
inneggiarono all’incantesimo bevuto
nel flutto senza onore di qualche nero miscuglio.

Al suolo e alla nube ostili, oh disgrazia!
Se con la nostra idea non nasce un bassorilievo
di cui la tomba lucente di Poe si possa ornare

- placido blocco quaggiù caduto da un disastro oscuro -
questo granito mostri in eterno la sua stele
ai neri voli della Bestemmia sparsi nel futuro.

(Traduzione di Andrea Giampietro)

giovedì 15 marzo 2012

BIOGRAFIA DI PAUL VERLAINE Quarta parte

Verlaine venne così arrestato e condannato a due anni di carcere (non certo per aver ferito Rimbaud, il quale dichiarò di rinunciare alla denuncia, ma per il reato di sodomia), che avrebbe scontato a Bruxelles e poi a Mons. Durante la sua detenzione venne a sapere che il Tribunale della Senna aveva sancito la separazione legale da sua moglie Mathilde. Ciò avrebbe comportato un aumento della desolazione e dell'angoscia sofferte dal poeta, il quale cercò disperatamente rifugio nella religione. Non c'è modo migliore infatti, per tornare in pace con la propria coscienza, quando la coscienza si fonda soprattutto sull'autopunizione, che sottomettersi all'autorità ecclesiastica e all'idea malsana di un Dio superbo e severo. La raccolta Saggezza (Sagesse), composta principalmente dalle poesie scritte in prigione, ma pubblicata solo nel 1881, testimonia questo balzo ad un altro eccesso, quello rappresentato da un dogmatico e gretto misticismo che lo portò a fustigarsi, a reprimere qualsiasi slancio passionale, qualsiasi desiderio d'ebbrezza, così dolcemente cantati invece nelle sue raccolte precedenti. Basterà riportare la poesia che apre la raccolta, per capire quale è il suo tema dominante.

Buon cavaliere mascherato che cavalca in silenzio,
la Sventura m'ha trafitto con la lancia il vecchio cuore.

In un solo getto vermiglio ha zampillato il sangue
del vecchio cuore, evaporando sui fiori al sole.

L'ombra mi spense gli occhi, un grido salì alla bocca
e il vecchio cuore morì in un brivido selvaggio.

Allora il cavalier Sventura mi si è avvicinato,
poggiato il piede a terra con la mano mi ha toccato.

Il suo dito guantato di ferro m'entrò nella ferita,
mentre con voce dura egli dichiarava la sua legge.

Ed ecco che al gelido contatto del dito di ferro
mi rinasceva un cuore, un cuore puro e fiero,

ed ecco che, fervente d'un candore divino,
un cuore nuovo e buono mi batté nel petto!

Ed io restavo tremante, ebbro, un po' incredulo,
come un uomo che abbia visioni di Dio.

Ma il buon cavaliere, rimontato in sella,
allontanandosi mi fece un cenno con la testa

e mi gridò (la sento ancora quella voce):
"Prudenza, almeno! Perché va bene una volta sola".

(Traduzione di Lanfranco Binni)

Il 16 gennaio 1875 Verlaine uscì di prigione. Immediatamente si adoperò per incontrare il suo dolce, maledetto Rimbaud, che avrebbe veduto a Stoccarda, dove quest'ultimo lavorava come precettore, dopo aver deciso di abbandonare la scrittura. Verlaine insistette nel volerlo di nuovo accanto a sé, ma stavolta in una esistenza votata alla fede cattolica, cosa che Rimbaud rifiutò in modo categorico. I due finirono anche alle mani. In quell'occasione, Verlaine si vide comunque consegnare dal suo giovane collega il manoscritto delle Illuminazioni (Illuminations), della cui pubblicazione si sarebbe curato egli stesso tempo dopo. Ci sarebbe stato un ulteriore scambio epistolare, terminato poi nel dicembre dello stesso anno, quando il ravveduto Verlaine, in un messaggio, dimostrandosi infastidito dalle precedenti lettere in cui il suo compagno continuava a rifiutare la conversione, manifestando inoltre «dei vili, dei cattivi progetti», esprimeva di non volergli addirittura far conoscere il suo nuovo indirizzo, tanto non si sentiva sicuro di lui.

Trasferitosi in Inghilterra, Verlaine trovò lavoro come insegnante in diverse scuole, impegnandosi a condurre una vita modesta e proba. Nell'autunno del 1877 tornò in Francia dove divenne insegnante in un istituto a Parigi. Qui la sua attenzione fu attirata dal giovane scolaro Lucien Létinois (nella foto a destra), che divenne ben presto il suo pupillo, e che avrebbe portato insieme a sé qualche tempo dopo in Inghilterra, dove avrebbe trovato lavoro per entrambi. La relazione tra il poeta ed il ragazzo prese ben presto (almeno per Verlaine) la pericolosa piega della passione amorosa. Alla fine di dicembre del 1878 i due lasciarono l'Inghilterra. Nel 1880 Verlaine comprò una fattoria a Juniville, a sud di Rethel, intestandola al padre di Létinois, in cui si sarebbe stabilito nel marzo insieme al giovane e ai suoi genitori. Qualche anno dopo, a causa del disastroso bilancio, la fattoria sarebbe stata venduta, e mentre i Létinois si trasferirono in Belgio, Verlaine fece ritorno a Parigi, dove alloggiò insieme a Lucien, cercando di ristabilire i contatti col mondo letterario.
La pubblicazione di Saggezza non aveva riscosso alcun consenso, così egli cercò di pubblicare qualche sua vecchia poesia su "Paris-Moderne", la rivista del suo futuro editore Léon Vanier. Tra i testi pubblicati vi è il celebre "Arte poetica" (Art poétique), che destò l'attenzione di una nuova generazione di poeti, i quali rimasero incantati dalle originali e raffinate regole che Verlaine dettava come punti cardini di un nuovo modo di fare poesia, che rispondesse al principio del gusto sublime, della catarsi, della suggestione pura.

per questo preferisci il verso impari
più vago e più solubile nell’aria,
senza niente che vi pesi o si posi.

Occorre inoltre che tu non scelga
le parole senza qualche noncuranza:
niente è più dolce della canzone grigia
dove il Preciso si unisce all’Indeciso.

Sono dei begli occhi dietro dei veli,
è la grande luce tremula del meriggio,
è, nel cielo tiepido d’autunno,
l’azzurro groviglio delle chiare stelle.

Perché è la Sfumatura ciò che vogliamo,
non il Colore, solo la Sfumatura!
Oh, la sfumatura sola fidanza
il sogno al sogno e il flauto al corno!

Evita più che puoi la Frecciata assassina,
lo Spirito crudele e il Riso impuro,
che fanno pianger gli occhi dell’Azzurro,
e tutto quest’aglio di bassa cucina!

Prendi l’eloquenza e torcile il collo!
Farai bene, muovendoti ad agire,
a rendere la Rima più assennata.
Senza controllo, dove finirà?

Oh, chi dirà i torti della Rima?
Quale bimbo sordo o negro folle
fabbricò mai questo gioiello inetto
che suona vuoto e falso sotto la lima?

Della musica, ancora e sempre!
Il tuo verso sia la cosa volata via,
che sentiamo fuggire da un’anima
diretta verso altri cieli, ad altri amori.

Il tuo verso sia la buona avventura
sparsa al vento increspato del mattino
che odora di menta e di timo...
E tutto il resto è letteratura.

(Traduzione di Andrea Giampietro)

Il 7 aprile 1883 Lucien Létinois morì a causa di una febbre tifoidea. L'evento fece sprofondare Verlaine in una lancinante disperazione. A Lucien egli avrebbe dedicato una serie di poesie poi apparse nella silloge Amore (Amour), pubblicata nel 1888, tra cui si ricorda la seguente:
 
Pattinava meravigliosamente,
lanciandosi - così impetuoso! -
e concludendo con una tale grazia!

Sottile come un'alta giovinetta,
brillante, vivo e forte come un ago,
agile e scattante come un'anguilla.

Prestigiosi giochi d'ottica,
delizioso tormento degli occhi,
un lampo che apparisse grazioso.

Talvolta diventava invisibile,
velocità diretta a un bersaglio,
così lontano, invisibile anch'esso...

Invisibile ancora oggi.
Che ne sarà di lui?
Che ne sarà di lui?

(Traduzione di Lanfranco Binni)