mercoledì 9 maggio 2012

BIOGRAFIA DI PAUL VERLAINE Quinta parte


Rimasto da solo, Verlaine andò ad abitare insieme a sua madre, e presto tornò a dedicarsi a una vita di ubriachezza e vagabondaggio, accompagnandosi spesso a ragazzini corrotti. Ed avrebbe conosciuto nuovamente la galera quando, dopo aver tentato di strangolare sua madre ed aver minacciato il vicino di casa che aveva tentato di fermarlo, fu condannato ad un mese di prigione (13 aprile-13 maggio 1885). Una volta scarcerato, vagò senza un soldo nella regione di Rethel e nelle Ardenne. Tornato a Parigi, si riappacificò con la madre, con cui andò a vivere in una stanzetta in affitto. In quel periodo cominciarono i problemi di salute: un'artrosi al ginocchio lo tenne immobilizzato per diverso tempo al letto. Intanto però la sua fama letteraria andava sempre più crescendo. Nel 1884 l’editore Vanier aveva pubblicato una raccolta di tre saggi, precedentemente apparsi nella rivista “Lutèce”, sotto il titolo de I poeti maledetti (Les poètes maudits), in cui Verlaine analizza con viva passione e profondo acume critico tre grandi e misconosciuti autori del suo tempo, quali Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé e Tristan Corbière. Nella prefazione a questo libro egli espresse chiaramente le proprie intenzioni:

Per rimanere in atmosfera calma, avremmo dovuto dire Poeti Assoluti. Ma, a parte il fatto che ai nostri tempi la calma non va di moda, il titolo ha di buono questo, che risponde con precisione al nostro odio e, ne siamo certi, a quello dei sopravvissuti fra gli Onnipotenti in questione, per la volgarità dei «lettori scelti» - grossolana falange che ce lo ricambia a dovere.
Assoluti nell’immaginazione, assoluti nell’espressione, assoluti come i Reys netos dei secoli più belli.
Però: maledetti!
A voi giudicare.

Nella seconda edizione del 1888, nella raccolta sarebbero stati aggiunti i ritratti di Marceline Desbordes-Valmore, Villiers de l'Isle-Adam, e dell’autore stesso, il cui nome viene celato scherzosamente nell’anagramma “Pauvre Lelian”. 

Nel frattempo era uscita, sempre edita da Vanier, una nuova raccolta di versi dal titolo Un tempo e poco fa (Jadis et naguère), miscellanea di vecchi e nuovi componimenti, tra cui spicca quello che contribuì a fare di Verlaine un poeta cosiddetto "decadente", e in cui viene espressa la rassegnazione di un animo distrutto dall'indolenza, atterrato dalla mancanza di volontà e di slancio vitale, conscio della propria impotenza e lieto di crogiolarsi nel proprio disfacimento:


"Languore"

 

Sono l’Impero alla fine della decadenza
che guarda passare i grandi barbari bianchi
e in stile d’oro compone acrostici indolenti
dove il languore del sole danza.    


L’anima solitaria soffre di una noia densa,
laggiù, dicono, lunghe battaglie crudeli,
oh non potervi, indebolito dalle fiacche voglie,
oh non volervi fiorire un po’ quest’esistenza.


Oh non volervi, oh non potervi morire un poco!
Ah! tutto è bevuto! Batillo hai finito di ridere?
Ah! tutto è bevuto, tutto è mangiato. Niente più da dire.


Solo una poesia un po’ sciocca da gettare al fuoco,
solo uno schiavo un po’ svelto che vi trascura,
solo una noia di non si sa cosa che vi addolora!


(Traduzione di Andrea Giampietro)


Nel 1886 la madre di Verlaine morì, e suo figlio, trovandosi a letto immobilizzato, non poté neanche assistere al suo funerale. Mathilde si incaricò di ricevere le condoglianze; a lei andarono gli ultimi mille franchi dei risparmi materni, visto che Paul non le aveva mai fatto avere la somma mensile pattuita. Con i pochi soldi rimasti, il poeta andò a vivere insieme a Marie Gambier: questa sarebbe stata la prima di altre sordide relazioni occasionali che egli avrebbe intrattenuto sino alla fine della sua vita. Negli ultimi anni infatti Verlaine si sarebbe diviso principalmente tra due prostitute, Eugénie Krantz e Philomène Boudin, con le quali cercò di instaurare dei rapporti duraturi, ma invano, visto che tutte e due gli erano infedeli e spesso lo derubavano dei suoi pochi soldi. Alle due donne egli avrebbe dedicato le raccolte Canzoni per lei (Chansons pour elle, 1891) e Odi in suo onore (Odes en son honneur, 1893).

Nella primavera del 1886 conobbe il giovane disegnatore e chansonnier Frédèric-Auguste Cazals (1865-1941), il suo ultimo amore omosessuale, che per volontà di quest'ultimo fu sublimato in una sincera amicizia. Cazals sarebbe diventato il suo ritrattista ufficiale. Di lui Verlaine scrisse, nella sua raccolta di ritratti biografici Les hommes d'aujourd-hui:

...è il mio migliore amico. La prova è che abbiamo rischiato di fare una decina di duelli a causa della nostra reciproca e tenace lealtà. Estremista in tutto, spirito, talento, - e abbigliamento, più parigino dei parigini e meno sciocco di quel che si potrebbe temere, è il più divertente dei compagni e il più fedele degli amici.


Dal 1887, man mano che la salute fisica andava peggiorando (all'artrosi si sarebbero aggiunte l'erisipela, la sifilide e un principio di diabete), cominciò la sua peregrinazione presso gli ospedali parigini. Dopo Amore, nel 1889 venne pubblicata la celebre raccolta Parallelamente (Parallèlement), prezioso florilegio di mistiche e audaci suggestioni sensuali, in cui il poeta dimostra di essere riuscito ormai a sgravare il proprio verso dal triste fardello della penitenza e della colpa, riuscendo a liberare, in un soave labirinto di languidi sapori, la proibita corrente dei sensi. Una sezione della silloge, dal titolo "Le amiche" (Les amies), composta da poesie risalenti al 1867, racconta con delizia episodi di amore saffico. Eccone due esempi:
 

"Primavera"

Tenera, la giovane donna fulva,
eccitata da tanta innocenza,
sussurra alla bionda giovinetta
queste parole, piano, dolcemente:

«Linfa che sale e fiore che sboccia,
la tua infanzia è una pergola:
lascia vagare le mie dita nel muschio
dove brilla il bocciolo di rosa,


«lasciami bere nell'erba chiara
le gocce di rugiada
che bagnano il tenero fiore,

«affinché, mia cara, il piacere
illumini la tua candida fronte
come l'alba il timido azzurro».



"Estate"

E la fanciulla rispose, in deliquio
sotto l'inesauribile carezza
dell'amante trafelata:
«Io muoio, mia adorata!

«Io muoio; il tuo seno infuocato
e pesante m'inebria e mi opprime;
la tua carne forte da cui sgorga l'ebbrezza


emana un profumo strano;

«ha, la tua carne, il fascino oscuro
delle estive maturità,
e ne ha l'ambra, e l'ombra;

«tuona la tua voce tra le raffiche,
la tua capigliatura sanguinante
fugge bruscamente nella notte lenta».


(Traduzione di Lanfranco Binni)


Il celebre poeta Paul Valéry (1871-1945) avrebbe offerto un delizioso e avvincente ritratto dell'ultimo Verlaine, che di sovente vedeva camminare in strada diretto verso qualche Caffè:
 

Quel maledetto, quel benedetto, zoppicando, batteva il suolo col pesante bastone dei vagabondi e degli infermi. Miserabile, gli occhi fiammeggianti sotto i cespugli delle sopracciglia, stupiva tutta la via con la sua brutale maestà e con lo scoppio dei suoi discorsi fragorosi. Circondato da amici, appoggiato al braccio di una donna, parlava - pestando il proprio passaggio - alla sua piccola scorta devota. D'improvviso si fermava, consacrandosi furiosamente alla pienezza dell'invettiva. Poi la disputa si incamminava. Verlaine si allontanava coi suoi, in un penoso picchiare di zoccoli e di bastone, prorompendo in una collera magnifica che a volte - come per miracolo - si tramutava in una risata fresca quasi come il riso di un bimbo.

Particolarmente delicate, acute e passionali sono le parole che il poeta Léon-Paul Fargue (1876-1947) avrebbe speso nel suo bellissimo saggio, Il ya cinquante ans mourait Paul Verlaine”, pubblicato come prefazione a una riedizione delle Confessioni:

Mi piaceva osservarlo al caffè e mi restava l’indimenticabile immagine di quell’uomo abbattuto e luminoso, appoggiato col dorso consunto alla fintapelle del locale, l’occhio diffidente, come d’animale che tema le busse, la parte inferiore del viso immersa in una sciarpa, le mani in tasca, le gambe accavallate, dio tenebroso e clemente di quell’angolo di taverna dove il tavolo di marmo bianco era come l’enorme pagina bianca su cui doveva apparire per magica operazione la poesia più fluida e vera della nostra letteratura. Rivedo la caraffa e il suo marchio, il bicchiere pieno a metà della sua cupa mistura color dell’ostrica, il piccolo calamaio delle guardarobiere, il bastone, il cappello, i chiodi di rame dei divanetti, tutti questi vividi particolari, fino al pirogeno, agli specchi, all’attaccapanni, che la fotografia ha lasciato in eredità a coloro che non hanno avuto la ventura di avvicinare quella figura di vagabondo abbindolato da fuochi fatui, quella gran testa spiccata da un busto di marmo, quella barba da statua dimenticata in una foresta. Rivedo tutto questo e subito mi sento spiato, adunghiato dalla tristezza. [...] Mi piace paragonarlo a un disperato che voglia gettarsi nel fiume per sottrarsi alla connaturata e crudele volgarità degli uomini, annegare sotto i loro sguardi, colare a picco davanti a un’assemblea di bruti gallonati, di cervelli di gallina, di scagnozzi d’ogni risma, e che, al momento di inabissarsi, tiri fuori dal fango, per brandirle improvvisamente, le rose più belle del mondo.



Ma non pochi furono avversi e meschini nei confronti di quella tetra figura faunesca che si trascinava per le strade del Quartiere Latino. Lo scrittore Jules Renard ad esempio, autore del famoso Pel di carota, lo definiva così:

Lo spaventoso Verlaine - un tetro Socrate e uno sconcio Diogene; sembra un cane e una iena.

Ma oltre agli artisti, ai letterati, agli ammiratori, agli approfittatori e alle prostitute, una pittoresca figura di amico ed assistente fu accanto a Verlaine, con particolare devozione, nei suoi ultimi anni di vita. Parlo di Bibi-la-Purée (il cui vero nome era Andre Salis), una sorta di vagabondo, astuto e traffichino, che però ammirava sinceramente il poeta, da lui chiamato “Maestro”, e non erano poche le sere in cui doveva prendere di peso il povero Verlaine per portarlo a casa dopo la solita sbronza.

Tornando a parlare del suo stile poetico, bisogna notare che il Verlaine degli ultimi anni finì col cedere, nei suoi versi, a una sensualità maggiormente carnale e ostentata, lontana dalle dolci allusioni e dalle suadenti atmosfere del suo primo periodo. A questo periodo appartengono le raccolte Donne (Femmes, 1890) e Hombres (Hombres, 1891, uscita postuma nel 1903), due libri caratterizzati da un tono di dolce e goliardica oscenità, il secondo dei quali rappresenta un'esaltazione goduriosa delle sue passioni omosessuali.

All’ultimo periodo appartengono anche raccolte come Dediche (Dedicaces, 1890), una serie di poesie dedicate ad amici e colleghi, Epigrammi (Epigrammes,1894) e soprattutto Invettive (Invectives, pubblicata postuma nel 1896), in cui il poeta raccoglie una serie di componimenti dal tono sferzante, ironico e canzonatorio.

Nonostante sia caratterizzata soprattutto da gravi malanni e da una condizione di estrema indigenza, la fase finale della sua vita riservò a Verlaine riconoscimenti sempre più prestigiosi: tra il 1892 ed il '93 fu invitato a tenere una serie di conferenze in Olanda e poi in Belgio sulla poesia contemporanea, e nel maggio del 1894, succedendo a Leconte de Lisle, venne eletto "Principe dei Poeti".

Colpito da una polmonite, Paul Verlaine morì l'8 gennaio 1896, all'età di cinquantun anni.

Così l'estimatore e amico Vittorio Pica, avrebbe parlato, nel suo libro Letteratura d'eccezione (1898), a proposito della scomparsa del poeta:

Lo sventurato e geniale autore di "Sagesse" è morto, amorevolmente assistito da un amico, in una cameretta di una molto modesta pensione in via Descartes, tortuoso vicolo del Quartier Latino alle spalle del Panthéon. Io la conosco questa cameretta, per essermici più volte recato a visitare Verlaine, così semplice, simpatico e non di rado arguto nei rapporti amichevoli, e rammento bene che essa era abbastanza piccola ed a metà buia e che, essendo al terzo piano, vi si giungeva per una scala erta ed angusta. Negli ultimi mesi alcuni fidi amici ed ammiratori del poeta si erano messi d'accordo [..] per rendergli meno penosa la tanto travagliata esistenza e per procurargli un po' di relativo benessere domestico; sicché il poverino ha potuto esalare l'ultimo respiro in un ambiente non certo di lusso, ma pulito ed alquanto confortabile.
Ed ora il soave ed ardente poeta, i cui ultimi versi furono un'appassionata invocazione alla morte ("La morte che noi amiamo, che sempre ci fu meta - di questo cammino dove prosperano il rovo - e l'ortica, oh! morte senza più grevi angosce, - deliziosa, la cui vittoria è l'annuncio!"), dorme il supremo sonno nella pace del cimitero di Batignolles, dove gli dettero l'ultimo saluto Coppée, Mallarmé, Mendès, Lepelletier, Barrès, Khan e Moréas e dove ne accompagnò, rispettosa e commossa, la salma tutta la gioventù letteraria, che vive, combatte e sogna nell'intellettuale e nobile città di Parigi.

Si narra che di fianco all'Opéra, dove qualche giorno prima era passato il corteo funebre, cadesse dalla statua della Poesia, che insieme a tante altre ornava quel lato dell'edificio, la lira ch'essa reggeva tra le braccia, e andasse a spezzarsi al suolo.

La Musa aveva perduto così il suo più tormentato cantore, eppure, tra tutti, il più delicato.


Nessun commento:

Posta un commento